Si fa sera e il giorno ormai volge al declino

Card. Robert Sarah

Se è arduo e difficile conoscere Dio e tessere relazioni personali e intime con Lui, possiamo realmente vederLo, sentirLo, toccarLo, contemplarLo attraverso la Sua parola e i Sacramenti. Aprendoci con sincerità alla verità e alla bellezza della creazione, e anche in virtù della nostra capacità di percepire il senso del bene morale, della nostra attenzione alla voce della coscienza, nella misura in cui portiamo in noi il desiderio e l’aspirazione a una vita senza fine, creiamo le condizioni ideali per entrare in contatto con Dio: «Interroga la bellezza della terra – afferma Sant’Agostino -, interroga la bellezza del mare, interroga la bellezza dell’aria che si dilata e si diffonde; interroga la bellezza del cielo […]. Interroga tutte queste realtà. Ti risponderanno tutte: “Ecco, guardaci, siamo belle!”. La loro bellezza è una professione di fede. 

 

Ora, queste bellezze soggette al cambiamento Chi le ha fatte se non il Bello, Che non è soggetto al cambiamento?». Per molti nostri contemporanei la fede era una luce che poteva essere sufficiente per le società antiche. Ma per l’epoca moderna, quella della scienza e della tecnologia, essa è una luce illusoria che impedisce all’uomo di coltivare l’audacia del sapere.

 

Rappresenterebbe un freno alla propria libertà trattenendo l’uomo nell’ignoranza e nella paura. Un uomo privo della luce della fede somiglia a un orfano o – come abbiamo detto prima – a qualcuno che non ha mai conosciuto suo padre e sua madre.

 

Per i primi cristiani, la fede, incontro con il Dio vivente rivelato in Gesù Cristo, era una “madre”, perché li faceva venire alla luce, generava in loro la vita divina, una nuova esperienza, una visione luminosa dell’esistenza per la quale bisognava essere pronti a rendere pubblica testimonianza fino a donare il proprio sangue, fino alla morte. Bisogna insistere nel sottolineare come la fede sia inseparabilmente legata alla conversione. È una rottura con la nostra vita di peccato, con gli idoli e tutti i “vitelli d’oro” di nostra fabbricazione, per ritornare al Dio vivo e vero attraverso un incontro che ci disarciona e ci sconvolge completamente.

 

L’incontro con Dio è al contempo terrificante e riconciliante. Credere significa affidarsi a Dio e al Suo amore misericordioso, a un amore che accoglie sempre e perdona, sostiene e orienta l’esistenza, e si mostra potente nella sua capacità di correggere le deformazioni della nostra storia. La fede consiste nella disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dall’appello di Questo Dio, Che ci ripete costantemente: «Ritornate a Me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché Egli è misericordioso e benigno» (Gl 2,12-13).

 

Ma il nostro ritorno al Signore, la nostra vera conversione con una risposta d’amore, con una nuova Alleanza con Lui, devono compiersi nella verità e in modo incarnato e non solo in teoria o attraverso sottigliezze teologiche o canonistiche. Non siamo molto diversi dal popolo della prima alleanza. Spesso colpito dalla mano di Dio a causa dei propri adultèri e delle proprie infedeltà, Israele ha pensato di poter trovare, in una penitenza esteriore e priva di radici profonde, il ritorno alla grazia e la liberazione.

 

I profeti respingono con forza questa sua penitenza superficiale, sentimentale, priva di una reale separazione dal peccato, senza un autentico abbandono della condizione di peccato e degli idoli che si sono accaparrati il suo cuore. Solo un pentimento che sgorga dai più intimi recessi del cuore può ottenere il perdono e la misericordia di Dio.