Card. Robert Sarah
Il malessere della civiltà risale a parecchi anni fa. Ha raggiunto un punto critico alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il conflitto tra Chiesa e modernità ha generato in Occidente sofferenza e dubbi in molti sacerdoti e cristiani.
Nel 1966 il teologo Joseph Ratzinger è particolarmente esplicito. Per illustrare la situazione della Chiesa nel mondo contemporaneo, egli evoca l’immagine della cattedrale neogotica di New York, circondata e sovrastata da giganti d’acciaio, i grattacieli. Un tempo le guglie delle cattedrali che svettavano sulle città evocavano l’eterno; ora questo edificio sacro sembra dominato e sperduto nel mondo. La nascente modernità disprezzava la Chiesa. Gli intellettuali non comprendevano più il suo insegnamento. Si percepiva un fraintendimento impossibile da eliminare.
Da qui, il desiderio, che si poteva incontrare particolarmente nei movimenti giovanili, di sbarazzarsi di certe forme esteriori. Il cuore della vita cristiana risultava incomprensibile a molti che finivano per limitarsi a considerare soltanto queste forme marginali. Era urgente comunicare il cuore del Vangelo in un linguaggio che gli uomini moderni potessero comprendere. Tuttavia, quando si è trattato di definire in termini nuovi la relazione della Chiesa con il mondo contemporaneo, ci si è resi conto che ben altri problemi erano in gioco rispetto al semplice svecchiamento di strutture obsolete.
È legittimo trovare nuove forme di evangelizzazione che il mondo moderno possa comprendere e accogliere, ma è ingenuo e superficiale pretendere a tutti i costi di riconciliarlo con la Chiesa. È anche il segno di una cecità teologica. «Anche nel nostro tempo – dichiarava Joseph Ratzinger – la Chiesa resta un “segno di contraddizione” (Lc 2,34). Il passo fatto dal Concilio Vaticano II verso l’età moderna, che in modo assai impreciso è stato presentato come “apertura verso il mondo”, appartiene in definitiva al perenne problema del rapporto tra fede e ragione, che si ripresenta in sempre nuove forme». Alcuni, infatti, si sono appoggiati alla nozione di incarnazione per affermare che Dio era venuto incontro al mondo e l’aveva santificato. Perciò, secondo loro, il mondo e la Chiesa avrebbero dovuto riconciliarsi. Pensavano ingenuamente che l’essere cristiani potesse riassumersi nell’immergersi allegramente nel mondo.
In opposizione a questo irenismo adolescenziale, il cardinale Ratzinger sottolinea che l’incarnazione non può essere compresa nel Nuovo Testamento se non alla luce della Passione e della Risurrezione. Nella predicazione degli Apostoli, la proclamazione della Risurrezione, che è inseparabile dalla Croce, occupa un posto centrale: «Un orientamento della Chiesa al mondo, che dovesse rappresentare un suo allontanamento dalla Croce, non porterebbe a un rinnovamento della Chiesa, ma alla sua fine. Il senso di un’apertura della Chiesa al mondo non può essere quello di eliminare lo scandalo della Croce, ma deve unicamente consistere nel metterlo nuovamente in luce in tutta la sua radicalità, eliminando tutti gli altri scandali secondari che si sono frapposti e che troppe volte nascondono la stoltezza dell’egoismo umano, scandali che occupano una falsa posizione e solo a toro si allineano dietro lo scandalo del Maestro».