La sapienza ha inizio con la meraviglia

Si fa sera e il giorno ormai volge al declino - Card. Robert Sarah

 

San Tommaso d’Aquino afferma che il grande rimedio all’accidia non si trova in noi ma in Dio. È l’incarnazione, la venuta di Dio nella nostra carne. Poiché, infatti, il cielo sembra così lontano e possiamo stancarci di cercare Dio, Egli Stesso è venuto incontro a noi per rendere più facile il nostro desiderio di amarLo, per rendere palpabile il bene che ci offre.

 

In questo senso, credo che il Natale sia il momento in cui sia più facile combattere contro l’accidia. Contemplando il presepio, il Dio Bambino Che Si fa prossimo, il nostro cuore non può restare nell’indifferenza, nella tristezza e nell’odio. Il nostro cuore si apre, si riscalda. I canti di Natale, le tradizioni che circondano questa festa, sono intrisi della gioia semplice d’essere salvati. In questo senso la contemplazione dell’incarnazione è la sorgente di ogni rimedio contro l’accidia. In essa possiamo attingere la forza per attuare ciò che raccomandavano i Padri del deserto, i primi monaci della storia della Chiesa. La loro esperienza si riassume in una parola: perseveranza! Essa implica già l’accettazione dell’accidia come di una prova. «La tristezza è gravosa, l’accidia è insopportabile. Ma davanti a Dio le lacrime sono più forti di entrambe», afferma Evagrio. L’unico rimedio rimane il ritorno alla preghiera, perché è un’energia e una forza interiori la cui fonte è Dio Stesso. L’ascesi, la mortificazione, gli atti di penitenza e di rinuncia sono umili e poveri strumenti con cui manifestare la nostra perseveranza nel combattimento spirituale.

 

Vorrei sottolineare che la perseveranza che permette di superare l’accidia è gioiosa. Non si tratta di un irrigidimento pelagiano della volontà. L’accidia è una tristezza che sembra non avere cause particolari, dato che di fatto non ci manca nulla. Essa colpisce lo stesso dinamismo spirituale. Per questa ragione, per combatterla non c’è altro mezzo se non rimanere fedeli al proprio impegno, perseverare nella preghiera ed evitare di mettere tutto in discussione. E ciò che più di ogni altra cosa dobbiamo proteggere è la gioia tutta interiore e soprannaturale di saperci salvati e amati da Dio. «Rendimi la gioia di essere salvato», recita il Salmo 50.

 

Ritengo, dunque, fondamentale per l’Occidente ritrovare il senso dall’azione di grazia! Lo stupore è tipico dei bambini. Un vecchio disincantato non si stupisce più di nulla, non si innamora più di niente. Talvolta, l’Occidente assomiglia a un vecchio inacidito a cui manca il candore del bambino. Da un punto di vista spirituale, i continenti che più recentemente hanno ricevuto la Buona Novella si stupiscono ancora e si innamorano delle bellezze di Dio, delle meraviglie del Suo agire in noi.

 

L’Occidente vi è forse troppo abituato. Non freme più di gioia davanti al presepio, non piange più di gratitudine davanti alla Croce, non ha più le vertigini davanti al Santissimo Sacramento. Penso che gli uomini abbiano bisogno di meravigliarsi per adorare, per lodare, per ringraziare questo Dio così buono e così grande. La sapienza ha inizio con la meraviglia, diceva Socrate. L’incapacità di meravigliarsi è sintomo di una civiltà che muore.