La rivoluzione sinodale

Di Guido Vignelli

PRECEDENTI STORICI DI FALSE ASSEMBLEE SINODALI. [...]

Il precedente gallicano della “Costituzione Civile del Clero”.

Fin dall'inizio della Rivoluzione Francese, l'assemblea Nazionale pretese di asservire la Chiesa nazionale al nuovo potere anticristiano. Il movimento gallicano vi contribuì tentando di separare da Roma la gerarchia ecclesiastica e democratizzandone il sistema di governo. L'atto più importante di questa manovra fu l'approvazione della Costituzione Civile del Clero (12 luglio 1790), alla quale il clero doveva giurare fedeltà, pena la deposizione o la l'esilio, e persino il carcere o la morte. 

 

Alcuni cambiamenti imposti da questa Costituzione prevedevano di ridurre la Chiesa alla sua dimensione nazionale, dove per nazione si intende la nation creata e imposta dal potere rivoluzionario al popolo inconsapevole. La guida della Chiesa rimase ai vescovi e quella delle parrocchie ai preti, ma solo quelli eletti – e quindi delegati – dai sinodi locali (dipartimentali) del nuovo Stato giacobino. Prima ancora che la Rivoluzione Francese finisse, questa riforma ecclesiastica fallì, dapprima grazie alle resistenze del clero e alle rivolte dei fedeli, poi anche grazie alla condanna emessa dalla Santa Sede.

 

Tuttavia, passata la tempesta, alcuni noti protagonisti del ralliement, clericale della Rivoluzione si riciclarono nel regime napoleonico e furono riabilitati dal compromissorio Concordato tra Stato e Chiesa del 1802.

 

 

Il precedente liberale dell’ecclesiologia “latitudinaria”.

Lungo il XIX secolo, l'influenza della teologia protestante liberale su una certa cultura cattolica, sia laica che ecclesiastica, fece nascere quel movimento eretizzante, più spesso eretico, noto come cattolicesimo liberale.

Questa ideologia era stata inventata dal mondo liberale e propagandata dai cattolici patrioti, al fine di dividere e frammentare l'unità della Chiesa in base alla posizione geografica delle sue diocesi e, così facendo, asservirla al potere locale dominante, che all'epoca era quello nazionale (ossia il relativo regime liberale). Dopo aver più volte ammonito sulla pericolosità del cattolicesimo liberale, alcune delle sue proposizioni erronee, già precedentemente censurate dal magistero della Chiesa, furono raccolte nel 1864 da papa Pio IX nel celebre Sillabo.

 

Fra queste proposizione condannate, ce ne sono alcune che riguardano il problema che stiamo trattando. Per esempio, la proposizione n. 19 pretende che “la Chiesa non sia una vera e perfetta società”. La n. 36 pretende che le decisioni emesse da un “concilio nazionale” non possano essere contestate da superiori autorità ecclesiastiche. La n. 37 pretende che “possano istituirsi Chiese nazionali sottratte all'autorità del Romano Pontefice e del tutto separate da lui”. Inoltre, le proposizioni dal n. 15 al 18 riguardano il latitudinarismo, ossia quell'ideologia relativistica che riduce la validità della dottrina e dell'azione ecclesiale alla loro posizione geografica. Secondo questo errore, il dogma, la morale e il diritto della Chiesa dovrebbero variare nello spazio, al fine di esprimere le diverse – e anche contraddittorie – convinzioni ed esperienze delle locali comunità ecclesiali. Insomma, come si diceva un tempo, vero al nord dei Pirenei, ma falso al sud dei Pirenei.

 

Come molti giansenisti e gallicani, anche molti cattolici liberali, una volta condannati dal Papa, finsero di sottomettersi per evitare l'isolamento e per operare occultamente in seno alla Chiesa diffondendovi forme mitigate del loro errore. Di conseguenza, l'errore del latitudinarismo oggi ritorna in vigore perché contribuisce a giustificare la rivoluzione sinodale, riducendo la universalità della Chiesa alla sua particolarità geografica, che però oggi – dopo la crisi degli Stati nazionali – non è tanto quella nazionale quanto quella locale.