5. LETTERA ENCICLICA AD CATHOLICI SACERDOTII

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI CHE HANNO PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA: SUL SACERDOZIO CATTOLICO.

Mediatore tra Dio e gli uomini.

Il sacerdote finalmente - continuando anche in ciò la missione di Cristo, il Quale passava la notte pregando Dio e sempre vive ad intercedere per noi — come pubblico ed ufficiale intercessore dell'umanità presso Dio, ha l'incarico e il mandato di offrire a Dio in nome della Chiesa, non solo il sacrificio propriamente detto, ma anche il sacrificio della lode con la preghiera pubblica ed ufficiale; egli, con salmi, preci e cantici, tolti in gran parte dai Libri ispirati, paga a Dio ogni giorno a più riprese questo doveroso tributo di adorazione e compie questo necessario ufficio d'impetrazione per l'umanità, oggi più che mai afflitta e più che mai bisognosa di Dio. Chi può dire quanti castighi la preghiera sacerdotale allontana dal capo dell'umanità prevaricatrice e quanti benefici le procura ed ottiene? Se la preghiera anche privata ha promesse divine così magnifiche e così solenni, come quelle che Gesù Cristo le ha fatto, quanto più potente sarà la preghiera innalzata ex officio in nome della Chiesa, diletta Sposa del Redentore?

 

E il cristiano, anche se troppo spesso immemore di Dio nella prosperità, conserva nel fondo dell'animo suo la fiducia nella preghiera, sente che la preghiera può tutto e, quasi per santo istinto, in ogni frangente, in ogni pericolo privato o pubblico, ricorre con singolare fiducia alla preghiera sacerdotale.

Ad essa domandano conforto gli sventurati di ogni specie; ad essa si ricorre per implorare l'aiuto divino nelle varie vicende di questo terreno esilio. Veramente il sacerdote sta nel mezzo tra Dio e l'umana natura, da una parte arrecando a noi i benefici di Dio, dall'altra presentando a Dio le nostre preghiere, riconciliandoceLo se adirato.

 

Del resto, come accennavamo fin da principio, i nemici stessi della Chiesa, a modo loro, mostrano di sentire tutta la dignità e l'importanza del sacerdozio cattolico, dirigendo contro questo i loro primi e più feroci colpi, ben sapendo quanto sia intimo il nesso che intercede tra la Chiesa e i suoi sacerdoti. I più accaniti nemici del sacerdozio cattolico sono oggi i nemici stessi di Dio: ecco un titolo di onore che rende il sacerdozio più degno di rispetto e di venerazione.

 

II. Fulgido Ornamento - La virtù e la scienza

 

Sublimissima dunque, venerabili fratelli, è la dignità del sacerdote; e le debolezze, per quanto deplorevoli e dolorose, di alcuni indegni non possono oscurare lo splendore di tale altissima dignità, come non devono far dimenticare le benemerenze di tanti sacerdoti insigni per virtù, per sapere, per opere di zelo, per il martirio. Tanto più che l'indegnità del soggetto non rende punto invalida l'opera del suo ministero: la indegnità del ministro non intacca la validità dei Sacramenti, che ripetono la loro efficacia dal Sangue di Cristo, indipendentemente dalla santità dello strumento, ossia, come si esprime il linguaggio ecclesiastico, esercitano la loro azione ex opere operato. È però verissimo che tale dignità, di per se stessa, esige in chi ne è investito una elevazione di mente, una purezza di cuore, una santità di vita corrispondente alle sublimità e santità dell'ufficio sacerdotale.

 

Questo, come abbiamo detto, costituisce il sacerdote mediatore tra Dio e l'uomo in rappresentanza e per mandato di Colui Che è l'unico Mediatore tra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo; deve quindi avvicinarsi quanto è possibile alla perfezione di Colui di Cui fa le veci e rendersi sempre più gradito a Dio con la santità della vita e delle opere; poiché, più che il profumo degli incensi, più che il fulgore dei templi e degli altari, Iddio ama e gradisce la virtù.

 

Diventando (gli ordinati) mediatori tra Dio e il popolo — dice San Tommaso — devono risplendere per la bontà della coscienza davanti a Dio e per la buona fama presso gli uomini. Dall'altra parte, invece, se chi tratta ed amministra le cose sante, mena una vita riprovevole, le profana e diventa sacrilego: Quelli che non sono santi, non devono trattare le cose sante. Perciò già nell'Antico Testamento, Iddio comandava ai Suoi sacerdoti e ai leviti: Siano dunque santi, perché santo sono anch'Io, il Signore Che li santifico.

 

E il sapientissimo Salomone, nel cantico per la dedicazione del tempio, questo appunto chiede al Signore per i figli di Aronne: I Tuoi sacerdoti si rivestano di giustizia e i Tuoi santi esultino.

 

Orbene, venerabili fratelli, se tanta perfezione e santità e alacrità - diremo con San Roberto Bellarmino - si esigeva in quei sacerdoti, che sacrificavano pecore e buoi e lodavano Dio per benefici temporali, che cosa mai non si dovrà esigere in quei sacerdoti che sacrificano l'Agnello divino e rendono grazie per benefici eterni?

 

Grande in vero— esclama San Lorenzo Giustiniani— è la dignità dei prelati, ma maggiore ne è il peso; posti come sono in grado così elevato davanti agli occhi degli uomini, bisogna che anche si innalzino al sommo vertice delle virtù davanti agli occhi di Colui Che tutto vede; altrimenti sono sopra gli altri non a proprio merito, ma a propria condanna.